I nterviste —— Gaia Giorgetti

I: Presentati pure. Parlami un po’ di te, chi sei, da dove vieni, quanti anni hai, cosa fai nella vita… 

G: Sono Gaia Giorgetti, vivo a Perugia, lavoro cioè svolgo mansioni lavorative non studentesche. Ecco questo faccio, cioè ho lavoro fisso. 

I: Parlami della città in cui sei nata, cresciuta. 

G: Perugia? È una città molto bella a livello culturale e artistico soprattutto. Strutturata molto bene però gestita molto male, pochi fondi, poche cose da fare per i giovani. Poche opportunità per qualsiasi tipo di persona si trasferisca qua. 

I: Che rapporto hai, con questa città al di là delle problematiche, delle dei punti a favore? 

G: È la città in cui sono nata, quindi. Cioè uhm, rimane sempre una parte importante sempre, cioè la vedrò sempre come città natale, ma sicuramente non ci sarà una città a cui sarò legata a livello familiare. 

I: Credi che la città di Perugia sia inclusiva o valorizzi l’identità di ciascun individuo? 

G: No, cioè quasi… Ci sono associazioni che possono fare questo, a livello politico, che nell’effettivo fanno qualcosa a livello sociale, che però sono poco ascoltate a Perugia. Il fatto qual è? Che, come singolo, si fa poco per l’altro, si ascolta poco l’altro. Se non si conosce l’altro si ha paura oppure poca fiducia, quindi ciò porta a completamente esentarsi dalla vita delle altre persone. Quindi è molto poco inclusiva, le persone all’interno dei gruppi se frequentano tra di loro, tu non puoi frequentare il loro gruppo. Quindi ecco poco integrativa.

 I: In che modo, secondo te, potrebbe tutelare di più il cittadino? 

G: Creando qualcosa in ambito sociale che possa attirare i giovani, come? Eventi all’interno di spazi, anche solo presentazioni di libri in biblioteca oppure qualcosa in ambito musicale. Non ti parlo di eventi perché ovviamente sarebbe difficile gestire eventi nell’effettivo, magari poi anche per quanto riguarda il dispendio economico, però un qualcosa che includa anche a livello culturale, ma che possa portare i giovani a crescere, ma cioè accrescersi mentalmente. Anche socialmente, cioè nel senso, una cosa che te spinga sia a conoscere gli altri che a conosce te stesso.

 I: Se ti chiedessi di descrivere il pregiudizio, in che modo lo faresti? 

G: Pregiudizio… Come dice la parola significa prima del giudizio, quindi… Il giudizio finale è qualcosa che è de facciata, che però comunque descrive la situazione o la persona o quello che si pregiudica, insomma. 

I: Quando ti presenti con una nuova persona, quanto importanza dai alle prime impressioni?

 G: Il massimo possibile, cioè tendenzialmente se sei una persona che reputo, mmh… Non so, dal primo impatto mi piaci io ti parlo, se non mi piaci dal primo impatto, bhe, Io non ti parlerò mai e noi non avremo nessun tipo di rapporto.

 I: Quindi più che altro vai a considerare l’attitudine di una persona, come si comporta? 

G: Eh sì, nel senso come t’approcci, come parli, se t’avvicini troppo la prima volta che ci conosciamo per me sei un po’ fuori dal contesto. Ecco… 

I: E secondo te il pregiudizio influisce molto nella rete di interazioni della città di Perugia? 

G: Sì, sì, al massimo, non solo un pregiudizio personale, influisce molto anche quello razziale. Cioè non sto dicendo che Perugia è razzista, però che c’è comunque un pregiudizio che viene dato soprattutto dalla parte più vecchia di Perugia che è rimasta più retrograda e con tanti pregiudizi. Insomma, a Perugia il pregiudizio è presente e sarà sempre presente. 

I: E quali sono, secondo te, le caratteristiche che influenzano il nostro giudizio o comportamento verso gli altri? 

G: Allora non saprei dire, cioè nel senso, se parli del singolo sono quelle caratteriali, comportamentali se parli del sociale ci sono tante caratteristiche, tipo, faccio un esempio, c’è un ragazzo che lavora con me, che è peruviano, che è molto sveglio, sa poco l’italiano. Cioè non è che sa poco l’italiano ma non c’ha un vocabolario troppo ampio e viene così tanto pregiudicato, da non riuscire a trovare casa perché i perugini non si f idano di averlo dentro casa. Quindi se tu non sai parlare italiano o sei di un’altra nazionalità automaticamente avrai problemi a trovare lavoro, o nel trovare casa. 

I: Nella vita di tutti i giorni sei sempre riuscita a manifestare quello che realmente sentivi di essere. 

G: No, cioè adesso sì, magari perché ho un pensiero completamente differente, non provo interesse rispetto a ciò che pensa la gente perché mi sono creata… Cioè che poi questo non è del tutto vero, però per quanto riguarda questioni personali mi sono creata il mio essere che è solo mio e non giudicabile dagli altri. Però negli anni sì, molte persone che magari erano in una condizione economica più elevata oppure gli stessi ragazzi che magari erano più frequentati all’interno di spazi o comunque che ne so, anche all’interno delle scuole, magari ragazzi più conosciuti… Io insomma mi sono sempre molto sentita, molto giudicata rispetto sia all’aspetto, che allo spazio sociale, quindi economico e quant’altro. 

I: In che modo si potrebbe lavorare per garantire il rispetto della propria dignità di genere in ogni contesto?

 G: Principalmente informà i ragazzi però informarli non secondo determinate logiche, cioè informarli e basta su un qualsiasi tipo di informazione, che non sia sbagliata ovviamente. 

I: Secondo te in che modo l’età di una persona pregiudica la sua competenza lavorativa? 

G: Cioè per quanto riguarda l’esperienza, perché un giovane che a appena finito la scuola è normale che non abbia esperienza lavorativa, se vedi magari la persona di trent’anni sai che comunque per campasse deve lavorà, quindi qualcosa avrà fatto cioè se tratta principalmente de esperienza. Però forse c’è un po’ troppo giudizio rispetto ai ragazzi che iniziano a lavorare. 

I: Quindi secondo te è un giudizio più sentito dai giovani, più che dalla gente un po’ più grande? 

G: Si, è sentito principalmente dai giovani però sempre rispetto al lavoro che svolgi, dipende dalle mansioni, però sì, principalmente dai ragazzi. 

I: Ti sei mai trovata o imbattuta in situazioni in cui una determinata persona viene trattata in modo diverso a causa del suo credo religioso? 

G: Allora di esperienze personali no, le ho sempre sentite se non di persona da qualcun altro. Comunque ci sono un sacco di discriminazioni, a livello sociale, per quanto riguarda le regioni, magari qua a Perugia un po’ meno nella mischia dei giovani, perché ovviamente c’è un po’ più consciousness capito. 

I: Forse si da meno importanza a questo aspetto…

 G: Sì, però alcune battute… dire tanto lui è un albanese o in tunisino oppure sti marocchini di merda. Nel senso quello, è anche giudicare la persona, rispetto alla cultura. Oppure parli di non so l’Islam, cioè gli islamici, i musulmani sono tutti i terroristi. Ecco questo. 

I: Secondo te quali sono gli stereotipi più diffusi nell’ambiente che frequenti? 

G: Gli stereotipi attuali che magari son presenti in ambito perugino, è lo stereotipo del ragazzino coi soldi del papà che riesce a fa tutto con i soldi passati dai genitori, oppure c’è dall’altra parte il ragazzetto che spaccia o che sta in mezzo a una strada che diciamo ha avuto un cazzo nella vita, cioè queste sono stereotipi che mi vengono in mente. 

I: Quanto l’immagine del genere maschile e femminile, trasmesso dai mass media ha inciso sulla costruzione e la consapevolezza della tua identità? 

G: Ma diciamo il 50%, cioè più a livello esteriore ha generato un cambiamento in me. I: Quindi forse. Una pressione più per quanto riguarda un giudizio prettamente fisico. G: Sì, esatto. 

I: Durante il tuo percorso di vita ti è mai capitato di sentirti giudicata o discriminata per qualcosa? 

G: Si, quand’ero più piccola, per l’aspetto fisico, poi c’ho avuto proprio dei problemi per quanto riguarda problemi di comprensione, cioè ho dei problemi di comprensione che non ha saputo accettare. Ci sono state persone veramente discriminanti in vita mia che mi hanno fatto sentire stupida e non in grado di svolgere determinate cose,

 I: Quanto ti sforzi di comprendere i punti di vista o i sentimenti delle persone che ti circondano? 

G: Boh, cerco di accogliere il massimo possibile ed essere in grado di capirli, di accettarli. Il buono sta anche nel trovare il confronto e che non sia per forza un confronto acceso, che sia un confronto d’accrescimento culturale e di apprezzare anche il pensiero altrui, per quanto diverso dal tuo.

 I: Secondo te vivere in una società inclusiva in che modo può migliorare lo stile di vita della popolazione?

 G: Perché c’è più appoggio tra i cittadini, cioè non so magari un aiuto maggiore tra il singolo al singolo, cioè se si parla di inclusività, si parla anche di creare rapporti umani, si parla di aiutà anche quello che è messo peggio, ma non te parlo solo di singolo ma te parlo di gruppo, te parlo di persone che si incontrano su un posto pe’ stà insieme nell’effettivo e non perché si conoscono da una vita.

 I: Ok, quindi magari questo potrebbe essere uno dei punti su cui magari una città come Perugia dovrebbe migliorare? 

G: Sì, dico l’inclusione in tutto e per tutto, di qualsiasi tipo di genere, di qualsiasi tipo d’età, di qualsiasi tipo di carattere… 

I: Ti fa sentire parte di qualcosa, perlomeno. 

G: Esatto, cioè se no, se finisce a sta in casa rinchiusi perché non si ha niente da fare, non si vuole vedere nessuno perché non ti senti capito, è apprezzato, accettato da nessuno.

 

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